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[UN RACCONTO BORG]

Un racconto borg

di Luca "Harlock" Santarelli

Ho scritto questo racconto, piccolo in quanto a dimensioni, su commissione di WebTrekItalia, una webzine dedicata a Star Trek. Avevo saputo che il loro numero estivo sarebbe stato dedicato ai Borg e così mi sono offerto di scrivere un racconto a tema. Avevo in mente la spietatezza dei Borg e, complice una cotta giovanile finita male, non avevo certo l'umore per scrivere una storia di fiori e nuvole in movimento.

Nella mente mi era apparsa nitidamente una scena ben precisa... non dovevo fare altro che tradurla su carta e darle un po' di corpo... ma non molto, volevo che fosse tutto molto veloce ed istantaneo. A giudicare dai commenti ricevuti, credo di esserci riuscito.

Come se non bastasse, il racconto mi piace.

Buona lettura!


Giaceva prona davanti a lui. Dai suoi occhi era svanita ogni espressione eccetto una traccia di dolore, e non sarebbe nemmeno servito lo scanner impiantato nella sua tempia sinistra per capire che lei era morta. Era in grado di osservare il mondo con uno spettro ottico che superava di ordini di grandezza quello di un normale essere umano, poteva analizzare la materia a livello cellulare con una rapida occhiata, ma lo scanner non avrebbe mai potuto dargli la risposta ad una semplice domanda: "Come?"
Era in grado di analizzare, definire e catalogare, ma non spiegare. Non aveva certo modelli su cui basarsi e, d'altronde, nessuno avrebbe mai posto la domanda. Nessuno era interessato alla risposta.
Nemmeno lui. Le tenaglie all'estremità del suo braccio sinistro si muovevano per l'eccitazione di avere trovato quello che cercavano. O forse era solo un riflesso neurale dovuto al recente implanto. Poteva uno scout essere eccitato?
Poche ore prima, al posto di cavi, chip e metallo, c'erano carne, ossa, muscoli e sangue. Poche ore prima avrebbe saputo dare un nome a quella strana soluzione che gli stava rigando il volto senza doverlo chiedere al suo analizzatore chimico.
Poche ore prima erano successe molte cose.

Molte ore prima Zeth Uth Garth aveva completato il sogno della sua famiglia di ingegneri e scienziati, salendo un altro gradino nella lunga scala senza fine della scoperta e della conoscenza. Infine il motore era pronto. Finalmente le loro navi, e non quei piccoli aviogetti usati per il banale trasporto, le loro navi avrebbero potuto solcare il mare delle stelle, alla ricerca di altre forme di vita, con cui instaurare un pacifico regno comune. Forse avrebbero dovuto cambiare la loro forma di governo, ma erano problemi che non lo interessavano. Zeth aveva un solo scopo adesso: sperimentare il motore in un lancio di prova. Probabilmente Talian non sarebbe stata d'accordo, ma Zeth avrebbe preteso dal consiglio direttivo di essere lui stesso a pilotare il prototipo. L'avrebbe convinta in qualche modo, l'avrebbe fatta stare tranquilla: "La mia famiglia lavora al motore da tre generazioni, pensi farei un lancio se non fossi sicuro dei risultati?"

«Proprio perchè sono tre generazioni che ci studiate non vedrai l'ora di accendere quel'affare!» Il volto giovane di Talian mostrava tutto il suo amore e la sua preoccupazione. Si conoscevano fin da bambini, e avevano imparato che la loro attrazione era qualcosa di più forte di un legame tra amici o fratelli. Malgrado Zeth le avesse promesso di sposarla solo quando avesse finito gli studi sul motore, Talian preferiva aspettare che il prototipo fosse più che sicuro e che il suo Zeth non corresse rischi.
«Cosa dovrei fare, allora, lasciare a qualcun'altro la fortuna del primo volo interstellare? Sai bene che non lo farò mai, per cui mettiti il cuore in pace e fidati degli Uth Garth.»
«Portami con te allora, no?» Sorrise Talian col suo fare malizioso.
«No, è pericoloso.»
«Come come come?»
"Acc... preso in castagna - pensò Zeth - ed ora che le dico?"

Molte ore prima Kruygar aveva visto la cosa più bella della sua vita: un puntino verde. L'intero astrolaboratorio risuonava per il ronzio di una sirena di allarme. Su uno degli schermi radar era apparso un piccolo puntino verde in uno degli angoli: una nave era entrata nello spazio prossimo al pianeta, e l'allarme significava che non era stata costruita sul pianeta. Nei venti anni seguenti l'invenzione del motore interstellare questo era il primo contatto con un forma di vita sconosciuta. "Era ora!". Voci di corridoio dicevano che il Consiglio, visti gli insuccessi, o meglio le mancate scoperte della Ricerca Spaziale, stesse pensando di tagliare i fondi alla sezione Esplorazione e Ricerca e dedicarsi alla sezione Sviluppo e Colonizzazione. Una colonia estrattiva avrebbe fornito certo più risorse e materiali di una nave da esplorazione e una centrale di analisi dati. "Finalmente! - pensò Kruygar - adesso il Consiglio dovrà ricredersi." Sarebbe stato lui stesso a cambiare presto idea.

Poche ore prima Alexisk aveva salutato Kalarel sapendo che forse non l'avrebbe più vista. La prima ondata di navi da guerra era stata completamente distrutta nell'arco di soli sette minuti, e la nave a forma di cubo che ormai era visibile anche dal pianeta non aveva riportato alcun danno. Collettivo Borg si erano definiti, e non avevano detto altro, se non minacce di guerra e distruzione. Non suonavano nemmeno come minacce, ma come puri e semplici dati di fatto. Il pianeta sarebbe stato "assimilato" qualsiasi cosa volesse dire. A giudicare da quei primi sette minuti gli alieni avevano ragione, ma Alexisk avrebbe lottato fino alla morte assieme ai suoi commilitoni. Era il loro pianeta, e gli invasori sarebbero stati cacciati a qualunque costo.
Aveva lasciato Kalarel che si dirigeva al laboratorio di Scienze Fisiche per ultimare il suo esperimento. Nella città tutti erano rimasti nelle loro case, nessuno aveva avuto il tempo di preoccuparsi e rifugiarsi in luoghi sicuri. Tanto, con i Borg, non esistevano luoghi sicuri.
Adesso Alexisk era arrivato, pilotando la sua piccola navetta, a distanza di tiro dallo strano cubo. Tutta la flotta era in posizione, e dagli altoparlanti della sua nave era giunto infine l'ordine: «Fuoco!»

Poche ore prima anche la seconda e terza, ed ultima, ondata di navi erano state massacrate dall'inarrestabile cubo Borg. Alexisk era ancora vivo, unico del suo equipaggio, e continuava a volare attorno al cubo cercando di evitarne i colpi, e di riuscire a capire quale fosse il punto debole della nave. Sembrava non averne e, se i suoi occhi non lo ingannavano, quei pochi danni che gli avevano arrecato sembravano essere spariti nel nulla.
Tra i crepitii elettrostatici degli altoparlanti, funzionanti quanto lo era la nave, la Gartheder, in onore dell'inventore del motore transluce, Alexisk sentì la decisione cui erano arrivati i comandanti delle poche navi rimaste: si sarebbero lanciati alla massima velocità contro la nave a forma di cubo, per passare a velocità interstellare un momento prima dell'impatto. Un ultimo pensiero per Kalarel e poi Alexisk si diresse a piena velocità contro il cubo assieme alle ultime navi della flotta.

Le tre corazzate davanti la Gartheder esplosero in rapida successione al momento dell'impatto con il cubo Borg, finalmente causandogli seri danni. Due navi erano state abbattute ancora prima di potersi avvicinare al cubo ed ora era giunto il momento di Alexisk. «Inizializzazione matrice ionica al dilitio... attiva... campi energetici di contenimento... stabili...» Cinque... quattro... «due gradi a destra!»... due... «Kalarel...» uno... nulla.
«Dannazione!»
Alexisk entrò con la Gartheder attraverso il foro prodotto dalle esplosioni delle precedenti navi, penetrando nel cubo Borg. Il motore interstellare doveva avere subito danni che i cicli diagnostici non avevano rivelato ed ora il pilota non poteva fare altro che cercare di muovere la sua nave al meglio dentro quell'intricata rete di travi metalliche che appariva essere la struttura interna della nave nemica: se da fuori appariva inoppugnabile, forse al suo interno Alexisk avrebbe potuto trovare un nucleo energetico o un punto debole nella nave da far saltare.

Fucile Maser alla mano, il pilota osservava affascinato le creature semi-umanoidi intrappolate nel metallo della nave. Sembrava dormissero, un singolo colpo di fucile e sarebbero morti all'istante. Forse. Mentre Alexisk si guardava attorno e valutava le possibili mosse da fare all'interno della nave, non si accorse del Borg che avanzava dietro di lui... e poi tutto divenne nero.

Kalarel giaceva prona sul terreno disseminato di detriti, in quella che un tempo era stata la sala centrale del laboratorio di Scienze Fisiche, ed Alexisk raccolse il piccolo dispositivo cui la ragazza aveva lavorato negli ultimi tempi. Le tenaglie nel suo braccio sinistro sollevarono ronzando l'oggetto e lo portarono all'altezza degli occhi di Alexisk, inespressivi, per poi inserirlo in un piccolo vano nella spalla destra.
Il Borg alzò lo sguardo al cielo, osservando l'astronave a forma di cubo, la sua nuova casa, pronto a farvi ritorno.
Sul suo volto quella strana soluzione cui non sapeva dare nome. L'analizzatore chimico trovò la risposta facendo riferimento ai ricordi di Alexisk precedenti l'assimilazione. Ora, nuova acquisizione della cultura del Collettivo, la parola che designava quella sostanza nella lingua di Alexisk e Kalarel era "pioggia".

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