|
|||||||||
Weaver: Senza via d'uscita | |||||||||
Stazione spaziale DS13, bar del circolo ufficiali " Tutti a bordo sanno di questa mia passione. E anche chi non lo sa, finisce per impararlo alla svelta dai suoi compagni. Come se non avessi mai sentito, insieme ai vari commenti del tipo - Il Capitano è cosi' ... , il Capitano è cosa' .. - , delle voci incaute sussurrare - ...e poi, quel suo strano modo di perder tempo a costruire modelli di vecchie navi ! Mah ... potrebbe benissimo replicarle in un attimo , e invece ... - ! " Il Capitano Kabila El-Alket, seduta davanti a Nathan, sorseggio' il suo drink senza minimamente curarsi di nascondere un sorriso. Lei e il Capitano Weaver erano amici da molto tempo, e il loro primo incontro risale a prima che lui entrasse in Accademia. A quel tempo, lei era un cadetto al primo anno, e lui un ragazzo col sogno dell'uniforme della Flotta. Circostanze fortuite li fecero incontrare, e destino volle che continuassero a frequentarsi, prima amici, poi qualcosa di piu', finche' le relative ambizioni non misero diverse centinaia di anni luce fra l'uno e l'altra. Saltuariamente si incontravano, come in questa occasione, quando entrambi arrivavano per puro caso nella stessa base. " Ma cosa c'e' in questo bicchiere " - disse Nathan con una smorfia di disgusto - " questo drink è quasi peggio dell'incubo che ho fatto stanotte " " Anche tu Nat ? Anche tu hai avuto un incubo stanotte ? " " Si Kaby, e da quel che ho sentito anche altri membri del mio equipaggio " " E non siete stati i soli , a quanto pare. Anche sulla Sutton stamani eravamo in molti ad aver passato una notte travagliata " " Tutta colpa di quei maledetti esseri simili a farfalle ! Dovrebbero studiare qualcosa per i disturbi che da l'interagire con loro " " Non essere cosi' acido Nat! Anche se hai passato una nottata insonne, sei sempre un Capitano della Flotta Stellare. Parlami piuttosto il tuo incubo. Magari, raccontandolo, ti potresti sentire meglio " Favorevolmente colpito dall'invito di quella cara amica, Weaver poso' il bicchiere sul tavolo e, sistemandosi in modo piu' rilassato sulla poltroncina, comincio' il racconto. " Mi trovo nel mio alloggio. Tutto e' tranquillo, la nave all'ormeggio, l'equipaggio in liberta'. Insomma, nessun pericolo all'orizzonte. Per rilassarmi un po', avevo giustappunto deciso di continuare un'opera che avevo cominciato qualche tempo prima. Li', sulla destra della mia scrivania, ci sono alcuni particolari, in scala piu' o meno fedele e ancora non completati, del cubo Borg in cui ho avuto l'avventura di trovarmi alla fine della mia ultima missione. Solo, nella penombra della mia stanza, con i miei attrezzini di lavoro e una lampada puntata ad illuminare una ben precisa zona, mi immergo nell'hobby che il mio equipaggio tanto biasima. Una sinfonia di Saint-Saens e la vicina luce della stella Nogra completano la cura per lo stress accumulato. Sono li' che sto curando un particolare di un piccolo personaggio borg quando sento una lieve corrente d'aria sfiorarmi all'altezza delle caviglie. Non ci faccio subito caso, tanto mi sembra naturale la cosa. Un secondo spiffero, piu' forte del primo, richiama pero' la mia attenzione. Mi accorgo, un po' tardivamente - ma ero tanto tanto immerso nel mio lavoretto - che in effetti un simile movimento d'aria all'interno di una nave stellare è alquanto strano. Mi controllo attorno. Per prima cosa guardo stupidamente alla finestra che mi separa dallo spazio. Poi in silenzio giro istintivamente lo sguardo un po' dappertutto. Ma solo dopo qualche occhiata mi sovviene un particolare che invece avrebbe dovuto colpirmi subito. La porta del mio alloggio e' aperta. Che sia rotta ? Ma una simile avaria avrebbe dovuto risultare negli schemi di controllo della sottosezione ingegneristica. Forse i tecnici a bordo erano in numero ridotto, e un simile problema non costituiva certo una priorita'. Comunque sia, mi alzo e vado a controllare. Tutto e' tranquillo. Tocco la porta. Si e' proprio guastata. Non reagisce in alcun modo. E mentre la controllo un particolare ulteriore mi sfugge per alcuni - troppi - secondi. Nel corridoio, sul quale si apre la porta, non passa nessuno. E soprattutto non si sente nessun rumore, nessun passo, nessuna voce. Niente di niente. Vabbe' - mi dico - molti saranno scesi sulla base per evadere un po' dalla routine della nave. Non mi preoccupo piu' di tanto. In fondo e' tutto tranquillo. Pero' voglio avvertire Sed - sempre che fosse a bordo - di mandarmi un tecnico per dare una controllata a quella porta. =^= Capitano Weaver a Comandante Sed =^= Nessuna risposta. Riprovo. =^= Capitano Weaver a Comandante Sed =^= Ancora niente. Ma su questa nave non funziona piu' niente? Provo allora con il computer. Mi avvicino alla parete del corridoio e interpello il familiare schermo nero. =^= Computer. Dammi posizione del Tenente Comandante Sed =^= Niente. Neppure il computer mi risponde. Riprovo testardamente. =^= Computer. Dammi posizione del Tenente Comandante Sed =^= Ancora una volta niente. E, come prima, un altro evidentissimo particolare mi sfugge per troppo tempo. Lo schermo del computer resta nero. Nemmeno si accende. Tutto cio' potrebbe essere normale se il computer non funzionasse, ma allora perche' due metri piu' avanti, uno schermo e' perfettamente acceso nonostante nessuno lo stia usando ? Vado e controllo. Una folata d'aria, stavolta forte come un vento autunnale, mi accompagna. Lo schermo e' effettivamente acceso, ma bloccato. Niente lampeggia, niente si muove. E' tutto immobile, come se fosse un quadro. E tutto continua ad essere tranquillo. Molto tranquillo. Troppo tranquillo. Istintivamente mi dirigo verso la plancia. Non capisco cosa stia succedendo. E, arrabbiato per il fatto di non essere stato avvertito di tutti questi malfunzionamenti, nemmeno mi accorgo della botta che prendo cozzando contro una delle porte di separazione del corridoio, inspiegabilmente rimasta chiusa nonostante il mio avvicinamento. Mi rialzo tenendomi il naso per il dolore. L'ossessiva tranquillita' della nave mi preoccupa. Cerco di dirigermi dalla parte opposta rispetto alla porta chiusa, ma improvvisamente appare davanti a me una creatura mai vista prima. Niente di umano. Niente di conosciuto. Una strana piovra con una testa lunghissima e mille e piu' tentacoli irti e fini. Mi viene addosso, ma, fortunosamente, la evito schiacciandomi contro una parete. Mi preparo al peggio, al suo ritorno, alla seconda carica. Ma, cosi' inspiegabilmente come era arrivata, quella creatura se ne va, fuori dalla mia vista. Tutto torna tranquillo, eccessivamente tranquillo, ma ora ho paura. Mi sento come prigioniero, impotente, di un qualcosa che mi contiene e che gioca con me. Corro avanti, verso la sala macchine, ma dopo poco una luce intensa mi blocca. Come se avessero spostato una stella appena al di fuori della Princess, sono accecato e sento un calore fuori dal normale. Striscio per terra, cerco rifugio. Ma, fortunatamente, dopo poco la luce, cosi' come era venuta, se ne va. Atterrito, con gli occhi ancora offuscati, cerco di tornare a tentoni verso l'alloggio. Ci arrivo, entro e , ancora mezzo cieco, cerco il computer tastando furiosamente con le mani. Ma non trovo quello che sto cercando, bensi' il modello che stavo costruendo e, nella disperata agitazione delle mie cieche mani, lo faccio cadere a terra. Mi chino per raccoglierlo. La vista sta tornando pian piano. Il primo pezzo che trovo è il personaggio borg che stavo terminando. Non appena lo prendo nelle mie mani, sento accadere qualcosa di veramente strano. Una forza misteriosa mi trascina via. La vista e' quasi ripristinata. Posso vedere chiaramente cio' che ho raccolto. E altrettanto chiaramente posso ora scorgere cio' che ha raccolto me. Una mano enorme, nera, mi tiene immobile. In questa mano io sono alto quanto un mezzo dito. Vedo i solchi del suo palmo, le pieghe del suo polso, e vedo la manica, di colore rosso. Il fascino della curiosita' mi fa impavidamente notare che il colore di quella mano e uguale a quello della mia mano, cosi' come il colore di quel polsino è uguale al mio. Spingo l'osservazione oltre. Vedo in lontananza il volto dell'essere che mi sta tenendo. E' nero. Nero come il mio. Sono io! Il terrore mi invade. Stringo ancor piu' forte le mani e contemporaneamente vengo strinto dall'essere gigante. Io lo guardo, ma lui non mi sta guardando. E' stranamente rivolto da un'altra parte. Sembra spaventato. Come me. Cerco di divincolarmi dalla sua presa. Muovo le braccia qua' e la' per sgusciare via, ma nello stesso istante il gigante comincia a sballottarmi a destra e sinistra. Non sembra interessato a me, non mi guarda, guarda ancora da un'altra parte. Smetto di divincolarmi senza una ragione. Forse sono solo stanco. Mi fermo, e un secondo dopo anche il mio simile gigante smette di muovere furiosamente il braccio nella cui mano mi tiene avvinghiato. Ci sono troppe coincidenze. Ma non ho la lucidita' per comprenderle. Sono impaurito, sudato, strapazzato. Involontariamente il mio organismo comanda un rilassamento generale prima che un collasso mi colga. Allento la tensione delle mie membra. Mi sento piu' libero. Ancora piu' libero quando sento la mano gigante allentare la sua presa. Mi sdraio su di essa. Voglio riprendere fiato. Un attimo. Senza precisa volonta' guardo la mia mano e il personaggio che avevo raccolto pochi minuti prima. Non e' un borg. Non e' un personaggio costruito da me. Non l'ho mai visto prima. Eppure non posso credere ai miei occhi. Non l'ho mai visto prima quel piccolo personaggino, eppure direi che è la mia copia fedele! E' scuro di carnagione, ha la divisa rossa, mi assomiglia in modo inverosimile. E sta misteriosamente guardando nella sua mano destra. Non scorgo cosa tiene nella mano, tanto e' piccolo. Una sensazione mi spinge ad alzare la testa. Un attimo prima che perda di vista il piccoletto nella mia mano, avrei detto che mi stava guardando. Non appena punto gli occhi in alto, vedo inorridito la testa gigante di me stesso che, piano piano si alza per guardare ancora piu' in alto, la' dove io non scorgo niente. Perche' non mi osserva? Riabbasso e rialzo lo sguardo diverse volte, ripeto la stessa scena piu' e piu' volte, sempre uguale, sempre identica, ripetibile come il piu' perfetto degli esperimenti. Mai gli sguardi del gigante, del piccoletto e il mio si incrociano per piu' di una frazione di secondo, e mai in modo diverso. Comincio a capire. L'idea affascinante di una scala infinita di matriosche dalle sembianze di Nathan Weaver, ognuna delle quali ripete esattamente i movimenti delle altre, mi invade la mente. Sperimento diversi movimenti. Funziona. Mi viene pero' in mente una domanda. Quale sara' la mente che comanda tutti quei movimenti ? Sara' la mia ? Sara' quella del piccoletto ? O quella del gigante ? O quella di altri cloni immensamente piu' grandi o piu' piccoli? Non lo so. E' una domanda senza risposta. Continuo a muovere la testa, osservo le infinite ripetizioni quando, all'improvviso, vedo il mio piccolo simile scoordinato dal resto dell'armonia. Io lo sto guardando nella mia mano, ma lui non sta piu' guardando la sua mano come aveva fatto fino a pochi istanti prima. Mi guarda. Mi osserva. Mi fissa. Lo sguardo immobile. Innaturale. All'improvviso una luce appare nei suoi occhi. Si muove. Io sto fermo. Ride. Io tremo. Sogghigna. Io sudo. Mi mostra la sua mano. C'e' proprio quello che credevo ci fosse. Un personaggino ancor piu' piccolo, in tutto e per tutto simile a me. Indica la mano con l'altra mano. Vuole attirare la mia attenzione. - Hai spezzato l'armonia delle cose Nathan - mi dice Guardo quella piccola manina. La sto ancora guardando mentre il mio piccolo sosia la chiude con estrema crudelta' e lascia cadere in frantumi nella mia mano il piccolo Nathan che teneva nella sua. E mentre comincio a sentire un tetro scricchiolio provenire da lontano, da molto lontano, ma sempre piu' vicino, il piccoletto nella mia mano, sogghignando, mi indica di guardare in alto, giusto in tempo per vedere la testa del gigante che mi teneva andare in frantumi, giusto un secondo prima di sentire la sua grande mano incombere impietosa su di me , che mi soffoca l'urlo di dolore e spavento che non riesce ad uscirmi dalla gola….. " Il Capitano El-Alket aveva ascoltato Nathan con molta attenzione. E anche se non aveva capito bene tutto - d'altronde era un sogno, come non poteva essere confuso ? - si sentiva comunque partecipe dell'angoscia provata dal suo collega. " E poi ? " - gli chiese ormai incuriosita. " E poi mi sono svegliato, di sobbalzo, completamente sudato, e avvolto stretto come un involtino nelle coperte, con un senso di oppressione spaventoso " " Vieni Nat, vieni con me " - lo invito' sorridente Kabila - " Accompagnami a giro per la base. Mi farebbe tanto piacere. E ti aiuterebbe anche a rilassarti un po' , sei teso ancora come una corda di violino " Non le era sfuggita la goccia di sudore che alla fine del racconto era scesa sulla nera fronte del Capitano Weaver....... |
|||||||||
|
|||||||||
|